TRIBUNALE ORDINARIO DI FIRENZE 
                        Quarta sezione civile 
 
    Nel procedimento sommario iscritto al n. r.g. 11754/2019 promosso
da Antonio Francesca (c.f. MZZCTN41S08E451Y), Damiana  Gennaro  (c.f.
GNNDMN61A66G510L), Andrea Francesca (c.f. FRNNDR91L21A558W),  Alberto
Francesca  (c.f.  FRNLRT99L02D631V)  con  il   patrocinio   dell'avv.
Frangini Lapo e dell'avv. elettivamente domiciliato in Via Olmetto, 5
-  20123 - Milano, presso il difensore avv. Frangini Lapo  ricorrente
contro Azienda USL Toscana Centro con il patrocinio dell'avv.  Simona
Consani e  dell'avv.  Paolo  Federigi  elettivamente  domiciliata  in
Firenze, presso sede legale dell'Azienda USL Toscana  Centro,  piazza
S. Maria Nuova n. 1, resistente 
    Il Giudice dott. Luca Minniti ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    La questione di  legittimita'  costituzione  ha  per  oggetto  il
ritenuto non manifestamente infondato contrasto tra gli  articoli  2,
3, 24 e 32 della Costituzione ed il combinato  disposto  dell'art.  8
del decreto del Presidente della Repubblica 30 Maggio 2002,  n.  115,
dell'art. 91 del codice di procedura civile, dell'art. 8, commi 1 e 2
della legge  8  marzo  2017,  n.  24,  dell'art.  669-quaterdecies  e
dell'art. 669-septies del codice di procedura civile nella  parte  in
cui esclude, nella interpretazione  consolidata  e  divenuta  diritto
vivente, che il giudice possa addebitare, in  tutto  o  in  parte,  a
carico  di  una  parte  diversa  da  quella  ricorrente,  il   costo,
comprensivo di  compensi  ed  esborsi,  dell'attivita'  del  collegio
nominato per lo svolgimento di CTU nel procedimento di  cui  all'art.
696-bis del codice di procedura civile ed all'art. 8  della  legge  8
marzo 2017, n. 24, che l'ha resa condizione di  procedibilita'  della
domanda di merito. 
1. L'oggetto della controversia 
    I signori Antonio Francesca, Damiana Gennaro, Andrea Francesca  e
Alberto Francesca, con ricorso proposto  nei  confronti  dell'Azienda
USL  Toscana  Centro  -  Ospedale  San  Giuseppe   di   Empoli,   per
l'esperimento  di  un  accertamento  tecnico  preventivo,  ai   sensi
dell'art. 696-bis del codice di procedura civile e 8  della  legge  8
marzo 2017, n. 24 al fine di vedere  accertati  dal  punto  di  vista
medico legale l'errore sanitario, l'evento  dannoso,  le  conseguenze
pregiudizievoli ed il nesso di causa tra l'errore e l'evento dannoso,
annunciando l'intenzione di agire per il risarcimento del  danno  non
patrimoniale,  sub  specie  di  danno  biologico  e  morale,  nonche'
patrimoniale da  perdita  totale  della  capacita'  lavorativa  e  da
lesione  del  rapporto  parentale,  attribuiti  alla  condotta  della
struttura  sanitaria   convenuta.   I   ricorrenti   affermavano   in
particolare che la ritardata profilassi con tiamina parenterale e  il
successivo suo errato dosaggio avessero determinato nel sig.  Antonio
Francesca un deficit mnesico ed un deficit deambulatorio tipici della
encefalopatia di Wernicke, provocando nel paziente l'insorgere di una
demenza  invalidante  che  lo  aveva  reso  non  autosufficiente.   I
ricorrenti affermavano anche di  aver  rivolto,  tramite  il  proprio
legale, all'Azienda ospedaliera una richiesta di composizione bonaria
della lite, ma che l'ASL  Toscana  Centro,  dopo  aver  convocato  il
ricorrente per una visita medico legale, aveva respinto la  richiesta
risarcitoria ritenendo che lo  svilupparsi  dell'encefalopatia  fosse
stato rapido e imprevedibile e che dovesse essere escluso  un  errore
nella condotta dei sanitari. 
    L'Azienda USL Toscana Centro - Ospedale San Giuseppe di Empoli si
costituiva con  comparsa  di  costituzione  e  risposta,  contestando
quanto sostenuto dai ricorrenti  ed  eccependo,  in  particolare,  la
mancanza di responsabilita'  dell'azienda  sanitaria.  La  resistente
sosteneva infatti l'assenza di studi e  di  orientamenti  validati  a
livello scientifico circa la dose ottimale di tiamina, la durata  del
trattamento e il numero  di  dosi  giornaliere  da  somministrare  al
paziente; aggiungeva poi  che  la  pretesa  della  controparte  fosse
fondata non sul mancato rispetto di una regola contenuta nelle  linee
guida, ma unicamente sulla inottemperanza ad una raccomandazione  non
sopportata da adeguate evidenze scientifiche. Ribadiva la correttezza
dell'operato dei sanitari in considerazione del  timing  clinico  del
paziente, caratterizzato da un'encefalopatia da deficit  di  tiamina,
evolutasi secondo modalita'  imprevedibili  a  fronte  di  condizioni
cliniche non preoccupanti. Concludeva quindi ritenendo che,  date  le
condizioni del paziente, la somministrazione supplementare di tiamina
non  fosse  una  condotta  doverosa.  Contestava,  infine,  anche  la
quantificazione della pretesa risarcitoria. 
    Al termine dell'udienza il  giudice,  su  richiesta  della  parte
ricorrente e con  l'opposizione  della  parte  resistente,  poneva  a
carico solidale di entrambe le parti l'acconto  sul  compenso  finale
richiesto dai CTU. 
    Alla successiva udienza fissata per  la  nomina  del  CTU  medico
specialista,  su  richiesta  della  parte  resistente,   il   giudice
concedeva alle parti il termine di dieci giorni per dedurre circa  la
questione dell'addebito dell'acconto e del saldo del costo della CTU. 
    La relazione, all'esito di articolate operazioni peritali  svolte
nel  pieno  contradditorio  con  i  consulenti  di  parte,  accertava
l'inadeguatezza della prestazione sanitaria cosi' argomentando: 
        «Una sottovalutazione della scarsa alimentazione e assunzione
per os di vit. B1 per il vomito nei 14  giorni  precedenti  il  primo
ricovero, unita alla mancata aggiunta  della  stessa  vitamina  nelle
infusioni,  come  indicato  nella  scheda  tecnica  della  sacca   di
Oliclinomel, sono gli  elementi  che  si  discostano  dalla  condotta
ideale e corretta per quel che  riguarda  le  misure  preventive  (in
concreto attuabili e doverose nel caso in esame)  e  di  contenimento
del deficit di tiamina. Vi si aggiunge  il  ritardo  di  avvio  della
terapia  e  la  sua  irregolarita'  di   somministrazione   di   dosi
terapeutiche di farmaco, avvenute  (quest'ultime)  pero'  a  malattia
gia' conclamata. Per esse si profila quindi un ruolo causale  minore,
ma  pur  apprezzabile,  con  riferimento  allo  scarso  recupero   di
un'autonomia di movimento, cura di se' e capacita' di memori». 
    Riconosceva poi il nesso  di  causalita'  materiale  con  le  due
condotte, di ritardata ed errata somministrazione, in questi termini:
«la  somministrazione  profilattica  di  vit.  B1  durante  il  primo
ricovero  (opportuna)  contemporaneamente  all'uso  della  sacca   di
Nutrizione parenterale Oliclinomel (doverosa), somministrata  dal  16
al 28 novembre, in un malato che fin dal primo giorno di ricovero del
15 novembre non assume nulla per os fino al 25  sera  (prima  dieta),
avrebbe    con    buona     probabilita'     evitato     l'insorgenza
dell'encefalopatia  (primo  errore  ndr).  Invece,   il   ritardo   e
l'irregolarita' nei primi giorni della somministrazione del farmaco a
dosi terapeutiche, a malattia  gia'  conclamata,  hanno  influito  in
misura minore nello scarso recupero  di  un'autonomia  di  movimento,
cura di se' e capacita' di memoria (secondo errore ndr). 
    Accertava infine significative conseguenze pregiudizievoli, nella
misura del 50% di perdita permanente di  integrita'  psicofisica  del
paziente, connesse agli errori accertati. 
    Con  il  deposito  della  relazione  il  collegio  di  consulenza
depositava la notula per la liquidazione del saldo. 
    In data 18 maggio 2020 la parte ricorrente  depositava  nota  con
richiesta di addebito integrale delle spese e dei compensi della CTU,
per i motivi gia' esposti nella memoria del 6 dicembre 2019. 
2. La lite sull'addebito del compenso del collegio dei CTU 
2.1 La tesi della convenuta ASL 
    L'ASL Toscana Centro ritiene che il regolamento delle spese possa
esser ancorato alla regola della soccombenza effettiva solo all'esito
del giudizio di merito e che, pertanto, il costo delle attivita'  del
collegio, all'esito del procedimento ex art. 696-bis  del  codice  di
procedura  civile,  non  possa  essere  attribuito  che  alla   parte
ricorrente, in forza del principio  di  causalita'  e  dell'onere  di
anticipazione  delle  spese.   Evidenzia   come   l'ordinamento,   in
alternativa al procedimento di cui all'art.  696-bis  del  codice  di
procedura  civile,  preveda  la  possibilita'   di   ricorrere   alla
media-conciliazione  con  costi  meno  elevati  rispetto   a   quello
prescelto e rimesso alla libera determinazione del ricorrente. 
2.2 La tesi della parte ricorrente 
    Di contro, secondo la  parte  ricorrente,  una  ripartizione  del
costo della CTU diversa dall'integrale addebito alla parte che agisce
in giudizio sarebbe legittima  sulla  scorta  della  natura  speciale
dell'accertamento tecnico preventivo a fini conciliativi  nell'ambito
della responsabilita' sanitaria, posto che con la legge n. 24/2017 il
procedimento di ATP «viene assunto a  condizione  di  procedibilita',
con previsioni di sanzioni in  caso  di  mancata  partecipazione  dei
soggetti   coinvolti,   indipendentemente   dall'esito   stesso   del
giudizio», considerata, inoltre, la natura neutrale della  consulenza
nell'ATP, resa nell'interesse generale della giustizia  e  quindi  in
quello comune  delle  parti.  Infine,  eccepiva  che  i  costi  della
mediazione  sarebbero  stati  inferiori  solo  in  caso  di   mancata
disponibilita', in  limine,  della  controparte  e  che  il  tipo  di
controversia, ad elevato e prevalente contenuto tecnico  scientifico,
avrebbe reso necessario ricorrere alla nomina  di  un  esperto  anche
all'interno del procedimento di media-conciliazione con costi  ancora
superiori a quelli del procedimento di cui all'art. 8 della legge  n.
24/2017 e 696-bis del codice di procedura civile. 
3. Ragioni della decisione 
3.1 La disciplina legale dell'addebito del costo delle operazioni  di
CTU nel procedimento di cui all'art. 696-bis del codice di  procedura
civile e 8 della legge del 24 marzo 2017, n. 24 
    Va considerato in primo luogo che: 
        l'art. 8 del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  30
maggio 2002, n. 115, che in forza dell'art. 299, comma 1, del decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, ha sostituito
l'art. 90 del codice di procedura civile, prevede che  «(Onere  delle
spese) 1. Ciascuna parte provvede alle spese degli  atti  processuali
che compie e di  quelli  che  chiede  e  le  anticipa  per  gli  atti
necessari al processo quando l'anticipazione e' posta  a  suo  carico
dalla legge o dal magistrato»; 
        l'art.  91  del  codice  di  procedura  civile   nell'attuale
formulazione prevede che «(Condanna alle spese). Il giudice,  con  la
sentenza che chiude il processo davanti  a  lui,  condanna  la  parte
soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra  parte  e  ne
liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa. Se accoglie la
domanda in misura non superiore all'eventuale proposta  conciliativa,
condanna la parte che  ha  rifiutato  senza  giustificato  motivo  la
proposta al pagamento delle  spese  del  processo  maturate  dopo  la
formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo  comma
dell'art. 92»; 
        l'art.  92  del  codice  di  procedura  civile  prevede  che:
«(Condanna alle spese per singoli atti. Compensazione  delle  spese).
"Il  Giudice,  nel  pronunciare  la  condanna  di  cui   all'articolo
precedente, puo' escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla
parte vincitrice, se  le  ritiene  eccessive  o  superflue;  e  puo',
indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso
delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione  al  dovere
di cui all'art. 88,  essa  ha  causato  all'altra  parte.  Se  vi  e'
soccombenza reciproca ovvero  nel  caso  di  assoluta  novita'  della
questione trattata o mutamento  della  giurisprudenza  rispetto  alle
questioni dirimenti, (ndr o per altre analoghe gravi  ed  eccezionali
ragioni  in  forza  della  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.
77/2018)  il  giudice  puo'  compensare  le  spese  tra   le   parti,
parzialmente o per intero. Se le parti si sono conciliate,  le  spese
si  intendono  compensate,  salvo  che  le   parti   stesse   abbiano
diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione»; 
        l'art. 669-septies del codice di procedura civile in  materia
di procedimento cautelare uniforme prevede  che  «Se  l'ordinanza  di
incompetenza o di rigetto  e'  pronunciata  prima  dell'inizio  della
causa di merito, con essa il giudice provvede  definitivamente  sulle
spese  del  procedimento  cautelare.  La  condanna  alle   spese   e'
immediatamente esecutiva ed e' opponibile ai sensi degli articoli 645
e seguenti in quanto applicabili, nel  termine  perentorio  di  venti
giorni dalla  pronuncia  dell'ordinanza  se  avvenuta  in  udienza  o
altrimenti dalla sua comunicazione»; 
        l'art. 669-quaterdecies del codice  di  procedura  civile  ha
esteso l'ambito di applicazione dell'art. 669-septies del  codice  di
procedura civile «ai provvedimenti di istruzione preventiva  previsti
dalla sezione IV di questo capo»; 
        l'art. 23,  comma  2,  del  decreto  legislativo  n.  5/2003,
abrogato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, prevedeva per il rito cd.
commerciale che nel procedimento cautelare ante causam «Il magistrato
designato provvede(sse), in ogni caso, sulle spese del procedimento a
norma degli articoli 91 e seguenti del codice di procedura civile». 
        l'art. 8 della legge 8 marzo 2017, n. 24 rubricato «Tentativo
obbligatorio  di  conciliazione»  prescrive  che  «1.   Chi   intende
esercitare  un'azione  innanzi  al  giudice  civile  relativa  a  una
controversia di risarcimento del danno derivante  da  responsabilita'
sanitaria e' tenuto  preliminarmente  a  proporre  ricorso  ai  sensi
dell'art. 696-bis del codice di procedura civile dinanzi  al  giudice
competente. 2. La  presentazione  del  ricorso  di  cui  al  comma  l
costituisce   condizione   di   procedibilita'   della   domanda   di
risarcimento.  E'  fatta  salva  la  possibilita'  di   esperire   in
alternativa il procedimento di mediazione ai sensi dell'art. 5, comma
1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28. In tali casi  non
trova invece applicazione l'art. 3  dei  decreto-legge  12  settembre
2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10  novembre
2014, n. 162. L'improcedibilita' deve essere eccepita dal  convenuto,
a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non  oltre  la
prima udienza. Il giudice, ove rilevi  che  il  procedimento  di  cui
all'art.  696-bis  del  codice  di  procedura  civile  non  e'  stato
espletato ovvero che e' iniziato ma non si e' concluso, assegna  alle
parti il termine di quindici giorni per la  presentazione  dinanzi  a
se' dell'istanza di consulenza tecnica in via  preventiva  ovvero  di
completamento del procedimento. 3. Ove la conciliazione non riesca  o
il procedimento non si concluda entro il termine  perentorio  di  sei
mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile  e  gli
effetti della  domanda  sono  salvi  se,  entro  novanta  giorni  dal
deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio,  e'
depositato, presso il giudice che ha trattato il procedimento di  cui
al comma 1,  il  ricorso  di  cui  all'art.  702-bis  del  codice  di
procedura  civile.  In  tal  caso  il  giudice  fissa  l'udienza   di
comparizione  delle  parti;  si  applicano  gli  articoli  702-bis  e
seguenti del codice di procedura  civile.  4.  La  partecipazione  al
procedimento di consulenza tecnica  preventiva  di  cui  al  presente
articolo, effettuato secondo il disposto dell'art. 15 della  presente
legge, e' obbligatoria per tutte le parti,  comprese  le  imprese  di
assicurazione di cui all'art. 10, che hanno  l'obbligo  di  formulare
l'offerta di risarcimento del danno ovvero comunicare  i  motivi  per
cui ritengono di non formularla. In caso di  sentenza  a  favore  del
danneggiato, quando  l'impresa  di  assicurazione  non  ha  formulato
l'offerta di risarcimento nell'ambito del procedimento di  consulenza
tecnica preventiva di cui ai commi precedenti, il  giudice  trasmette
copia  della   sentenza   all'Istituto   per   la   vigilanza   sulle
assicurazioni (IVASS) per gli adempimenti di propria  competenza.  In
caso di mancata partecipazione, il giudice, con il provvedimento  che
definisce il giudizio, condanna le parti che non hanno partecipato al
pagamento delle spese di  consulenza  e  di  lite,  indipendentemente
dall'esito  del  giudizio,  oltre  che  ad   una   pena   pecuniaria,
determinata equitativamente, in favore della parte  che  e'  comparsa
alla conciliazione" (ndr corsivo dell'estensore). 
3.2 Il diritto vivente in merito all'addebito del costo della CTU nel
procedimento di cui all'art. 696-bis del codice di procedura civile e
8 della legge 24 marzo 2017, n. 24. 
    Sulla  questione  oggetto  del  presente  provvedimento   si   e'
pronunciata piu' volte ed anche di recente la Corte  di  legittimita'
con riferimento a compensi liquidati nell'ambito di  procedimenti  ex
articoli 696 e 696-bis del codice di procedura civile. 
    L'orientamento,  anche  di  recente  espresso  dalla   Corte   di
cassazione (cfr.  Cassazione  n.  26573/2018),  conferma  l'indirizzo
risalente adottato  con  riferimento  piu'  in  generale  alle  spese
giudiziali maturate  nell'ambito  del  procedimento  di  accertamento
tecnico preventivo ex art. 696 del codice di procedura civile, ambito
in merito al quale la Cassazione, a piu' riprese (si veda a  riguardo
Cassazione sentenza n. 324/2017; Cassazione sentenza  n.  21045/2016;
Cassazione  sentenza  n.  21756/2015  e  n.  19498/2015;   Cassazione
sentenza n. 4156/2012), ha affermato che al termine  della  procedura
le spese debbano essere poste a carico della parte richiedente, fatta
salva poi la possibilita' di addebitarle alla  parte  resistente  nel
caso   in   cui   quest'ultima   risulti   soccombente   al   termine
dell'eventuale giudizio di merito nel  quale  l'accertamento  tecnico
dovesse essere acquisito. Tale opzione  interpretativa  e'  stato  da
sempre giustificata con il principio  di  anticipazione  delle  spese
processuali a carico della parte richiedente nella fase  anteriore  a
quella di merito, principio oggi adottato dall'art. 8 del decreto del
Presidente della Repubblica 30 maggio 2002,  n.  115,  che  in  forza
dell'art. 299, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica 30
maggio 2002, n. 115, ha sostituito l'art. 90 del codice di  procedura
civile. 
    In particolare si legge in Cassazione la  sentenza  n.  324/2017,
che: «Alla stregua della uniforme giurisprudenza di questa Corte  (da
ultimo  sezione  VI-2,  26  ottobre  2015,  n.  21756),  infatti,  il
regolamento  delle  spese  e'   ancorato   alla   valutazione   della
soccombenza, presupponente l'accertamento  della  fondatezza  o  meno
della pretesa fatta valere  dall'attore,  che  esula  dalla  funzione
dell'accertamento tecnico preventivo e resta di esclusiva  competenza
del giudizio di merito; pertanto le spese  dell'accertamento  tecnico
preventivo devono essere poste,  a  conclusione  della  procedura,  a
carico della parte richiedente, e saranno  prese  in  considerazione,
nel successivo giudizio di merito ove  l'accertamento  tecnico  sara'
acquisito, come  spese  giudiziali,  da  porre,  salva  l'ipotesi  di
compensazione, a carico  del  soccombente.  [...]  Deve,  quindi,  in
accoglimento del ricorso, essere riconfermato il principio di diritto
secondo cui il carico delle spese liquidate in tema  di  accertamento
tecnico preventivo spetta, in via esclusiva, alla parte ricorrente in
virtu' dell'onere di anticipazione e del principio di causalita'». La
sentenza  prosegue   affermando   che   «Del   resto,   la   funzione
dell'accertamento  tecnico  preventivo  si  risolve,  ordinariamente,
nell'esigenza di preservare  (in  favore  della  parte  istante)  gli
effetti di una prova, da assumere in via urgente,  attinente  ad  uno
stato dei luoghi o alla qualita' o condizione di cose, da  poter  far
valere, in un eventuale (e successivo)  giudizio  di  merito,  mentre
nella fase relativa all'assunzione del mezzo di istruzione preventiva
non si instaura propriamente un  procedimento  di  tipo  contenzioso,
all'esito del quale deve trovare  applicazione  la  disciplina  delle
spese processuali contemplata dagli articoli 91 e 92  del  codice  di
procedura civile». 
    Il  medesimo  principio  e'  stato  poi  esteso  dalla  Corte  di
cassazione, con sentenza n. 26573/2018, al nuovo accertamento tecnico
preventivo di cui all'art. 696-bis del codice  di  procedura  civile,
connotato da finalita' prevalentemente conciliativa. La Corte suprema
ha cosi' argomentato: «La suddetta disciplina e' rimasta immutata  e,
allorquando  il  legislatore  ha  introdotto  l'art.  696-bis,  nella
sezione richiamata dall'art. 669-quaterdecies del codice di procedura
civile, essa e' risultata applicabile anche all'istituto di cui  alla
nuova norma, ancorche'  essa  non  prevedeva,  com'e'  pacifico,  una
misura cautelare». Ribadendo quindi, per quanto rileva  nel  presente
giudizio, il seguente principio di diritto «Per effetto del combinato
disposto dell'art. 669-septies del codice di procedura civile,  comma
2, e art.  669-quaterdecies  del  codice  di  procedura  civile,  nei
procedimenti di consulenza preventiva ex art. 696-bis del  codice  di
procedura civile, il giudice puo' procedere alla  liquidazione  delle
spese processuali (a carico della  parte  ricorrente)  solamente  nei
casi in cui dichiari la propria incompetenza o l'inammissibilita' del
ricorso oppure lo rigetti senza procedere all'espletamento del  mezzo
istruttorio richiesto. Qualora, viceversa, dia corso alla  consulenza
preventiva, il giudice non ha il  potere  di  statuire  sulle  spese.
L'eventuale provvedimento in tal senso risulta abnorme,...». 
    In senso conforme anche Cassazione 21975/2018  secondo  la  quale
«la ATP preventiva di cui al novellato art.  696-bis  del  codice  di
procedura civile, per quanto in parte "giurisdizionalizzata", e'  pur
sempre finalizzata  al  componimento  della  lite  e,  non  potendosi
intendere  come  una  fase  giudiziale,  non  da'  nemmeno  luogo   a
un'autonoma liquidazione delle spese processuali da parte del giudice
che  l'ha  disposta  rientrando  esse  nel  complesso   delle   spese
stragiudiziali  sopportate  dalla  parte  prima  della  lite»   (cfr.
Cassazione sezione 6 - 3, Ordinanza n. 26573 del 22 ottobre 2018). 
    Giova pero' ricordare la  ricostruzione  sistematica  operata  da
Cassazione civ., SS.UU., 28  aprile  1989,  n.  2021  pervenuta,  nel
risolvere il contrasto giurisprudenziale in merito  all'art.  91  del
codice di procedura civile, ad argomentare che il  principio  secondo
il quale «il giudice "con la sentenza che chiude il processo condanna
la parte soccombente al rimborso delle spese", trova applicazione con
riguardo ad ogni provvedimento, ancorche' reso in forma di  ordinanza
o decreto, che, nel  risolvere  contrapposte  posizioni,  elimini  il
procedimento davanti al giudice  che  le  emette,  quindi  anche  nei
procedimenti sommari e cautelati,  come  nel  caso  del  procedimento
promosso ai sensi dell'art. 700 del codice di  procedura  civile  per
l'adozione di provvedimenti d'urgenza». In detta  sentenza  si  legge
tra l'altro che «I punti salienti della  tradizione  romanistica  con
riguardo al thema decidendum in esame, sono tre: 1) il principio  che
il pagamento delle spese del giudizio non e' soltanto la  conseguenza
della malafede (temeritas) della parte soccombente,  ma  l'attuazione
del principio obiettivo della causalita', onde chi ha  cagionato  una
spesa, indipendentemente dall'elemento subiettivo che  l'ha  animato,
e'  obbligato  a  risarcire  l'altra   parte   dell'onere   economico
impostole; 2) che l'obbligo del pagamento delle spese (expensae), sia
dirette  che  indirette  (sumpta),  non  e'  connesso  esclusivamente
all'accertamento di merito che conclude  il  giudizio,  ancorche'  la
pronunzia della sentenza definitiva ne sia il sistema normale; 3) che
la pronunzia di condanna alle spese puo' essere pronunziata anche con
interlocutio nel  corso  del  giudizio,  anziche'  con  sententia  e,
quindi, prescindendo  dalla  soccombenza  della  parte  in  punto  di
merito... In ordine al secondo e terzo principi in base al  quale  la
condanna alle spese non e' la cagione della soccombenza in  punto  di
merito, ma costituisce la conseguenza obiettiva di una situazione  di
disagio posta in essere da una delle parti in  danno  dell'altra,  la
cui  pronunzia  puo'  essere  data  con  ordinanza,   il   precedente
romanistico e' il seguente: «stabiliamo che tutti i  giudici...,  nel
caso che una  parte,  rimasta  contumace,  sia,  poi,  comparsa,  non
provvedano a giudicarla, se prima essa non risarcisca agli  avversari
tutti i danni cagionati loro, sia per quanto  concerne  le  spese  di
causa, sia per quanto riguarda gli onorari dovuti agli avvocati,  sia
per altre ragioni relative alla  lite.  «L'ammontare  di  tali  spese
dev'essere stabilito  dal  giudice  dopo  che  le  parti  interessate
abbiano  prestato  giuramento  circa  la  consistenza   di   esse...»
(costituzione dell'imperatore Giustiniano a  Giuliano,  prefetto  del
pretorio, C. 3, I, 15). 
    Prosegue la sentenza  «....  Non  v'e'  dubbio,  quindi,  che  la
liquidazione delle spese operata addirittura nel corso del  giudizio,
e, quindi, prescindendo dalla pronunzia sulla soccombenza nel merito,
ed operata con interlocutio anziche' con sententia,  sia,  pur  nella
sua  peculiarita',  nostra  tradizione  giuridica,  finalizzata  allo
sveltimento dei  processi  in  funzione  dell'economia  dei  giudizi,
secondo la direttiva stessa impressa al codice  di  procedura  civile
per evitare lo spreco di giurisdizione». Ed ancora  affermando  «....
che tale struttura implica, da parte del resistente, il dispendio  di
un'attivita' processuale che non puo' restare non qualificata ai fini
del rimborso delle spese, senza ledere un diritto soggettivo, onde le
differenze tecniche  dello  strumento  dialettico  non  costituiscono
ostacolo alla sussistenza di una situazione effettiva di soccombenza,
nell'interpretazione  terminologica  piu'  estensiva  che  la  natura
particolare del procedimento richiede,  ne'  costituisce  ostacolo  a
cio' la natura, decisoria o non, del  provvedimento;  7)  che  se  la
natura  interdittale  dei   provvedimenti   di   urgenza   li   rende
strettamente dipendenti dal successivo giudizio  di  merito  e  dalla
sentenza definitiva che lo conclude, tuttavia  deve  porsi  l'accento
sull'autonomia  assoluta  dei  procedimenti  stessi   e   sulla   non
necessita' del collegamento  col  giudizio  successivo  nel  caso  di
rigetto della richiesta dell'istante; 8) che in tal caso, infatti, il
procedimento ha termine, si conclude, e viene  meno  il  rapporto  di
strumentalita' e di continuita' tra la fase di urgenza  e  quella  di
stretta cognizione, onde l'azione  cautelare  non  puo'  avere  alcun
sviluppo ulteriormente, e resta preclusa  qualunque  possibilita'  di
legame con l'azione di accertamento  del  diritto,  anche  se  questa
verra' intrapresa separatamente». 
    Tali passaggi argomentativi se  non  possono  piu'  orientare  il
giudicante in  senso  diverso  al  consolidato  approdo  della  Corte
suprema, di cui e' doveroso prendere atto anche considerato il numero
di procedimenti che potrebbero proseguire solo per la risoluzione del
relativo contrasto e sino ad  un  eventuale  revirement  della  Corte
suprema, possono per contro costituire  il  fondamento  ricostruttivo
sistematico dell'esito di un eventuale accoglimento  della  questione
si legittimita' sottoposta alla Corte con il presente provvedimento. 
    Come anticipato, la questione di legittimita' che  il  giudicante
sottopone alla Corte non ha ad oggetto l'intero  regime  delle  spese
processuali conseguenti  all'espletamento  del  procedimento  di  cui
all'art. 8 della legge n. 24/2017 e 696-bis del codice  di  procedura
civile,  ma  solo  gli  esborsi  connessi   al   costo   della   CTU,
identificabili nel compenso del collegio peritale e nelle spese  vive
sostenute da  esso  sostenute.  Si  rammenta  infatti  la  necessita'
legale, nelle cause di responsabilita' sanitaria di avvalersi di  una
pluralita'  di  competenze  tecnico  scientifiche  in  ragione  delle
specializzazioni  coinvolte   dal   caso   concreto   e   della   non
applicabilita' (ex art. 15 della legge n. 24 del 2017) della  sistema
di riduzione del  compenso,  mediante  l'aumento  del  solo  40%  del
compenso  individuale,  previsto  dall'art.  53   del   decreto   del
Presidente della Repubblica del 30 maggio 2002, n. 115 in caso di CTU
plurisoggettiva. 
    E dunque se occorre prendere  atto  che  l'interpretazione  della
Cassazione e' netta nel ritenere che le  spese  del  procedimento  di
consulenza preventiva (vuoi ai sensi  dell'art.  696  del  codice  di
procedura civile, vuoi ai  sensi  dell'art.  696-bis  del  codice  di
procedura civile) vadano poste a carico della parte che  con  la  sua
richiesta le ha rese necessarie, dall'altra  occorre  considerare  se
risulti, o non, manifestamente infondato il dubbio che l'anticipo del
costo della relazione del collegio peritale nel procedimento  di  cui
all'art. 696-bis  del  codice  di  procedura  civile,  come  previsto
dall'art. 8 della legge n. 24/2017 quale condizione di procedibilita'
del giudizio di accertamento del merito della pretesa in  alternativa
alla mediazione, in combinato disposto con gli articoli 91 del codice
di procedura civile e 8 del decreto del Presidente  della  Repubblica
del 30 maggio 2002, n. 115, si ponga in contrasto con gli articoli 2,
3, 24 e 32 della Costituzione, rappresentando un  ostacolo  economico
irragionevole all'esercizio del diritto. 
3.3. Gli effetti della previsione dell'art. 8 della legge n. 24/2017. 
    Ai fini di cui sopra deve in primo luogo esser  riconsiderata  la
natura e la funzione  assunta  dall'istituto  disciplinato  dall'art.
696-bis del codice di procedura civile nei processi, come  quello  in
esame, per responsabilita' sanitaria. 
    Per effetto dell'impetuoso sviluppo tecnico-scientifico  e  della
conseguente espansione della  dimensione  tecnico  scientifica  delle
controversie, la funzione della CTU nel processo  civile  ha  subito,
particolarmente nell'ambito  di  alcune  materie,  una  significativa
evoluzione, tanto rilevante da modificare, in alcuni casi, la  stessa
struttura  del  processo  civile  di   cognizione...   Il   carattere
distintivo  delle  modifiche  introdotte   e'   individuabile   nella
necessita'   di   collocazione   del   contraddittorio   tecnico    e
dell'accertamento  istruttorio  cui  e'  finalizzato,  in  una   fase
anteriore non solo all'assunzione delle  prove  costituende  ma  alla
stessa cristallizzazione del thema decidendum  e  probandum,  momenti
rispetto ai quali la  CTU  e'  chiamata  a  svolge  una  funzione  di
ausilio.   Di   tale   necessita',   sulla    base    dell'esperienza
giurisdizionale,  il  legislatore  si  e'  fatto  carico   conferendo
all'istituto di cui all'art. 696-bis del codice di procedura  civile,
in alcune  materie,  la  funzione  di  condizione  di  procedibilita'
dell'intero giudizio di merito. 
    Com'e' noto l'accertamento tecnico  con  finalita'  conciliativa,
previsto  come  condizione  di  procedibilita'  solo  in  materia  di
controversie  per  responsabilita'  sanitaria   e   di   controversie
previdenziali, e',  sempre,  del  tutto  svincolato  dal  presupposto
dell'urgenza, vuoi sotto il profilo del pericolo  della  perdita  del
mezzo di prova a sostegno della futura domanda, vuoi sotto il profilo
del pericolo di pregiudizio del diritto nel suo complesso. 
    Ed appare,  nelle  controversie  per  responsabilita'  sanitaria,
collocato all'interno di  un  procedimento  giurisdizionale  volto  a
definire il merito, integrale, della  futura  lite,  seppure  in  via
conciliativa.  L'accertamento  tecnico  preventivo  finalizzato  alla
conciliazione ha quindi assunto un ruolo decisivo nella  preparazione
della  controversia  e  nella  selezione   dei   fatti   costitutivi,
impeditivi ed estintivi (si pensi in proposito anche al  rilievo  che
puo'  assumere  ai  fini  della  definizione  di  una  eccezione   di
prescrizione in caso di patologia a lenta o differita insorgenza). 
    Inoltre,  nella  prassi,  l'istituto  giuridico  in   esame   sta
acquisendo una virtuosa funzione deflattiva assolutamente  rispettosa
della tutela del diritto. 
    Si puo' inoltre  affermare  che  l'art.  696-bis  del  codice  di
procedura civile, ancor piu' nei casi un cui ha assunto,  per  legge,
il  ruolo  di  condizione  di  procedibilita',  abbia  accentuato  il
percorso di  trasformazione  della  CTU,  da  contributo  processuale
fornito dal consulente al  giudice  nell'ambito  della  sua  funzione
decisoria, ad ausilio fornito alle parti ed  al  giudice,  melius  al
processo nel suo complesso e sin dalla sua  fase  introduttiva,  allo
scopo primario di definire in via conciliativa la  lite  ed  al  fine
secondario di preparazione del contenzioso eventualmente non definito
da un accordo tra le parti. 
    Una funzione secondaria ma non meno incisiva di formazione  della
prova scientifica, in particolare, con riferimento, alla prova  delle
leges artis, che entrano nel processo in quanto ricostruite dalla CTU
con riferimento al caso concreto, alla prova del nesso di  causa  tra
la prestazione sanitaria in  concreto  adottata  e  l'evento  dannoso
allegato, alla prova delle conseguenze pregiudizievoli  eventualmente
connesse all'evento determinato dalla condotta inadeguata. 
    L'esito della CTU, in quanto mezzo di prova di una quota cospicua
dei  fatti  rilevanti  in  giudizio,  nel  corso   del   procedimento
preventivo  con  finalita'  conciliative  condizionera'   quindi   il
concreto  esercizio  degli  oneri  di  parte,  obbligandole  ad   una
discovery anticipata che orientera' il  giudizio  in  caso  di  esito
negativo del tentativo di conciliazione. 
    La legge Gelli, all'art. 8, dopo aver stabilito che «chi  intende
esercitare  un'azione  innanzi  al  giudice  civile  relativa  a  una
controversia di risarcimento del danno derivante  da  responsabilita'
sanitaria e' tenuto  preliminarmente  a  proporre  ricorso  ai  sensi
dell'art. 696-bis del codice di procedura civile dinanzi  al  giudice
competente»  prevede   come   obbligatoria   la   partecipazione   al
procedimento di ATP di tutte le  parti  legittimamente  convenute  in
giudizio.  Com'e'  noto  il  numero  delle  parti  nel  giudizio   di
responsabilita' sanitaria puo' esser circoscritto ad un solo soggetto
(in caso di struttura pubblica in  regime  di  gestione  diretta  del
rischio clinico ed in ipotesi di domanda non proposta verso i singoli
operatori sanitari) ma, diversamente, puo' ampliarsi verso un  numero
elevato di soggetti per il coinvolgimento nella cura del paziente  di
piu' strutture sanitarie e/o di una pluralita' di operatori sanitari,
nonche' delle loro rispettive compagnie assicurative. 
    In  tale  procedimento  preliminare  il  legislatore  ha   voluto
realizzare una complessa fase istruttoria,  obbligatoria  seppure  in
alternativa alla mediazione, che accresce in modo assai significativo
la necessita' di anticipazione dei costi del  procedimento  a  carico
del paziente,  costi  identificabili  oltre  che  nelle  spese  della
propria difesa tecnico giuridica e nelle spese della  propria  difesa
tecnico scientifica,  anche  nel  costo  della  CTU,  necessariamente
collegiale. 
3.4 La questione di legittimita' costituzionale 
    Sotto  questo  profilo  la  questione  sottoposta  al  giudicante
implica la verifica circa la compatibilita' con gli articoli 2, 3, 24
e 32 della Costituzione italiana, del sistema illustrato e  delineato
nella legge n. 24/2017, integrato nel regime  giuridico  delle  spese
processuali come ricostruito dalla Corte di legittimita'. 
    Difatti, sebbene il nostro  ordinamento  preveda  un  sistema  di
tutela per i non abbienti,  mediante  l'ammissione  al  patrocinio  a
spese dello Stato,  la  sua  delimitazione  entro  limiti  reddituali
esigui non esaurisce il tema della verifica in esame. 
    Il costo dell'attivita' del collegio peritale - che a  differenza
delle altre spese legali (compenso  del  ctp  e  del  difensore)  non
possono esser differiti all'esito del giudizio di merito in forza  di
un accordo negoziale - in primo  luogo  sorge  in  limine  litis,  in
secondo luogo e' molto elevato collocandosi in media tra i 5 mila  ed
i 10 mila euro, ma potendo facilmente toccare i 15-20 mila euro. 
    Esso, se posto sempre e comunque a carico della parte che agisce,
rappresenta un significativo ostacolo all'esercizio del diritto  alla
tutela giurisdizionale alla salute,  producendo  inevitabilmente  una
disparita' di  trattamento  determinato  dalle  capacita'  economiche
della parte, in violazione dell'art. 3 della Carta costituzionale  e,
di conseguenza, determinando un  accesso  differenziato  alla  tutela
giurisdizionale,  tutelato  dall'art.  24  della  Costituzione,   con
inevitabile rischio di pregiudizio per la  tutela  del  diritto  alla
salute ex art. 32 della Costituzione. 
    Coloro che, pur non rientrando nella categoria dei non abbienti e
di conseguenza non beneficiando del patrocinio a spese  dello  Stato,
si ritrovano in condizioni  economiche  disagiate  sono  costretti  a
dover sopportare costi elevati di accesso al procedimento preliminare
che, essendo  obbligatorio,  devono  necessariamente  instaurare  per
poter accedere alla tutela giurisdizionale di merito in caso di esito
negativo della conciliazione. Cio' determina il rischio di sacrificio
dei  diritti  di  cui  agli  articoli  2  e  24  della  Costituzione,
concretizzando un ostacolo materiale  all'accesso  alla  giustizia  e
comportando, dunque, una compressione non tollerabile del diritto  di
difesa e di azione. 
    Sotto  questo  profilo  occorre  considerare,  infatti,  che   la
giurisprudenza della Corte costituzionale se da una parte e' pacifica
nel ritenere «che la tutela garantita dall'art. 24 della Costituzione
non comporta l'assoluta immediatezza dell'esperibilita'  del  diritto
di azione (sentenze n. 251 del 2003 e n. 276 del 2000» perche' «detta
tutela giurisdizionale non deve necessariamente porsi in relazione di
immediatezza con il sorgere del diritto», dall'altra  e'  altrettanto
rigorosa nell'affermare che «la determinazione concreta di  modalita'
e di oneri non deve rendere difficile o  impossibile  l'esercizio  di
esso (ex multis, sentenze n. 67 del 1990 e n. 186 del  1972)»  (Corte
costituzionale sentenza n. 243/2014) e che e' legittima la legge  che
subordina «l'esercizio dei diritti a controlli o condizioni,  purche'
[tuttavia] non vengano imposti oneri  o  modalita'  tali  da  rendere
impossibile o  estremamente  difficile  l'esercizio  del  diritto  di
difesa  o   lo   svolgimento   dell'attivita'   processuale»   (Corte
costituzionale   13   aprile   1977,   n.   63).   E,   ancora,   che
«l'assoggettamento  dell'azione  giudiziaria  all'onere   di   previo
esperimento di rimedi amministrativi,  con  conseguente  differimento
della proponibilita' dell'azione a un certo termine decorrente  dalla
data  di  presentazione  del  ricorso,  e'  legittimo   soltanto   se
giustificato da esigenze di ordine generale o da superiori  finalita'
di  giustizia,  fermo  restando  che,  pur  nel  concorso   di   tali
circostanze, il legislatore deve contenere l'onere nella misura  meno
gravosa possibile» (Corte costituzionale  n.  56/1995).  Infine,  con
riguardo alla giurisdizione condizionata, che «si deve osservare  che
la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte   ha   collegato   la
legittimita' di forme di accesso alla giurisdizione,  subordinate  al
previo adempimento di oneri finalizzati al perseguimento di interessi
generali, al triplice requisito  che  il  legislatore  non  renda  la
tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa (sentenza  n.  406
del 1993), contenga l'onere nella misura meno  gravosa  possibile  ed
operi un congruo bilanciamento tra l'esigenza di assicurare la tutela
dei diritti e le altre esigenze che il differimento dell'accesso alla
stessa  intende  perseguire  (sentenza  n.  98  del   2014)»   (Corte
costituzionale sentenza n. 243/2014 cit.). 
    Nello stesso senso, a conferma,  puo'  ricordarsi  anche  che  la
Corte di Giustizia dell'Unione europea, nella sentenza (C-75/16)  del
14 giugno 2017,  al  par.  61,  ha  affermato  tra  l'altro  che  una
condizione  di  procedibilita'  puo'  risultare  compatibile  con  il
principio  della  tutela  giurisdizionale  effettiva  «qualora   tale
procedura non conduca a una decisione vincolante per  le  parti,  non
comporti un ritardo sostanziale per la  proposizione  di  un  ricorso
giurisdizionale, sospenda la prescrizione o la decadenza dei  diritti
in questione e non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per
le parti». 
    Benche' l'oggetto del presente procedimento non  sia  materia  di
diritto  dell'Unione,   si   deve   ritenere   che   una   differente
articolazione del diritto di accesso alla  giustizia  nell'ambito  di
diritti fondamentali tutelati dalla CDFUE o dalla nostra Costituzione
non appaia ragionevole ai sensi dell'art. 3, 24  della  Costituzione.
In questo senso lo standard di tutela europeo non  puo'  trovare  una
irragionevole deroga nella tutela di diritti fondamentali estrani  al
diritto UE. 
    La  circostanza  poi  che  il  legislatore  abbia   previsto   la
media-conciliazione quale alternativa al procedimento di ATP ex  art.
696-bis del codice di procedura civile in materia di  responsabilita'
medica non  elide  i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  appena
esposti. In primo luogo perche' i costi della  mediazione  potrebbero
esser contenuti solamente  nel  caso  in  cui  all'attivazione  della
procedura non segua la partecipazione della controparte;  mentre,  al
contrario,  tali  non  sono  nel  caso  in  cui  la  procedura  segua
fisiologicamente  il  suo  corso.  In  secondo  luogo  perche',  come
rilevato dalla parte  ricorrente,  nella  prassi,  la  finalita'  del
procedimento di mediazione in materia di  responsabilita'  medica  e'
adeguatamente perseguibile  solo  con  la  nomina  di  un  ausiliario
tecnico del  mediatore  che  affronti,  seppur  ai  soli  fini  della
media-conciliazione,  le  problematiche  tecnico-scientifiche   della
lite. Sicche' si deve convenire che lo  svolgimento  effettivo  della
media-conciliazione in materia  di  responsabilita'  sanitaria  abbia
normalmente   costi   superiori   e   non    inferiori    a    quelli
dell'accertamento tecnico preventivo previsto dall'art.  696-bis  del
codice di procedura civile. Anche se,  qui  sta  altra  irragionevole
differenza con la situazione in esame, ai sensi dell'art.  16,  comma
11 del decreto ministeriale del 18 ottobre 2010, n. 180 e  successive
modifiche «Le spese di mediazione indicate sono dovute in  solido  da
ciascuna parte che ha aderito al procedimento». Mentre quelle di  CTU
nel procedimento di cui all'art.  696-bis  del  codice  di  procedura
civile sono addebitabili secondo il diritto vivente solo  alla  parte
richiedente. 
    Si rammenti anche che, consapevole del rilievo dei costi e  della
posizione di debolezza del paziente che si affaccia al  giudizio  con
un esiguo numero di elementi di valutazione e  prova  il  legislatore
della  legge  n.  24/2017,  nell'art.  8  ha  previsto  l'obbligo  di
addebito, all'esito del giudizio di merito, del pagamento delle spese
di consulenza e di lite, a  carico  della  parte  convenuta  che  sia
rimasta contumace, indipendentemente dall'esito del  giudizio,  oltre
che la possibilita' di condanna al pagamento di una pena  pecuniaria,
determinata equitativamente, in favore della parte ricorrente. 
    Un riequilibrio, non a caso, ritenuto necessario dal legislatore,
ma inidoneo  a  produrre  effetti  sul  diritto  di  agire  che,  con
riferimento  al  compenso  del  collegio  peritale  nella   CTU   del
procedimento di cui all'art. 696-bis del codice di procedura civile e
8 della legge  n.  24/2017,  opera  in  limine  litis,  sensibilmente
incidendo sui rapporti di forza tra le parti  che  si  affacciano  al
giudizio ed al tentativo di conciliazione. 
    Come anticipato la questione di  legittimita'  costituzionale  e'
circoscritta al divieto per il giudice di addebitare il  costo  della
CTU da svolgersi nel procedimento preliminare, in tutto od in  parte,
ad un soggetto diverso dal ricorrente. Non coinvolge percio' l'intero
regime delle spese legali che ogni parte dovra', per se', anticipare,
salvo diverso accordo  con  i  propri  professionisti  in  merito  al
differimento del pagamento del compenso all'esito del giudizio. 
    Il significativo costo della CTU in esame e' invece indifferibile
e - allo stato attuale della disciplina grava solo sul richiedente. 
    Sul piano pratico vale anche la pena ricordare che la  necessita'
di ricorrere ad esperti estranei all'ambito sanitario coinvolto nella
lite  e  la  possibile  complessita'   degli   accertamenti   tecnico
diagnostici rendono frequente una elevata incidenza  delle  spese  di
viaggio e di complessi accertamenti diagnostici di laboratorio. 
    Se l'esito dell'eventuale pronuncia di incostituzionalita' potra'
ben esser circoscritto alle spese di CTU, nel  solo  procedimento  di
cui all'art., 696-bis del codice di procedura civile e 8 della  legge
n. 24 del 2017, senza implicare una modifica del regime  delle  spese
legali, vale la pena ricordare il sopra citato art. 23, comma 2,  del
decreto  legislativo  n.  5/2003  in  materia   di   rito   cautelare
commerciale, rito commerciale poi interamente abrogato,  secondo  cui
«Il magistrato designato provvede, in  ogni  caso,  sulle  spese  del
procedimento a norma degli articoli  91  e  seguenti  del  codice  di
procedura civile». 
    Peraltro,    l'esito    di    una    eventuale    pronuncia    di
incostituzionalita'  si  ritiene  pienamente   compatibile   con   la
tradizione giuridica  richiamata  dalla  Cassazione  civile,  SS.UU.,
nella sentenza n.  2021  del  28  aprile  1989,  in  particolare  con
riferimento al principio per cui «la pronunzia di condanna alle spese
puo'  essere  pronunziata  anche  con  interlocutio  nel  corso   del
giudizio,  anziche'  con  sententia  e,  quindi,  prescindendo  dalla
soccombenza della parte in punto di merito» e che «la  condanna  alle
spese non e' la cagione della soccombenza  in  punto  di  merito,  ma
costituisce la conseguenza obiettiva di  una  situazione  di  disagio
posta in essere da una  delle  parti  in  danno  dell'altra,  la  cui
pronunzia puo' essere data con ordinanza»  nonche'  dell'asserto  per
cui «Non v'e' dubbio, quindi, che la liquidazione delle spese operata
addirittura nel corso del giudizio,  e,  quindi,  prescindendo  dalla
pronunzia sulla soccombenza nel merito, ed operata  con  interlocutio
anziche' con sententia,  sia,  pur  nella  sua  peculiarita',  nostra
tradizione giuridica, finalizzata allo sveltimento  dei  processi  in
funzione dell'economia  dei  giudizi,  secondo  la  direttiva  stessa
impressa al codice di procedura  civile  per  evitare  lo  spreco  di
giurisdizione». 
    Se e' vero che il processo civile, in generale ed in  particolare
quello in materia di responsabilita' sanitaria si rivela sempre  meno
un anodino e cieco percorso verso la decisione finale e  sempre  piu'
come una serie di snodi selettivi volti alla costruzione  progressiva
della decisione. 
    E che  in  questo  modello  processuale  anche  la  decisione  di
addebitare l'anticipo del costo della CTU,  in  qualsiasi  fase  essa
verra' svolta, a carico di una parte diversa da  quella  richiedente,
quando quest'ultima parte appaia  destinata  a  risultare  vittoriosa
almeno in parte all'esito del giudizio, potrebbe rappresentare uno di
quegli atti di interlocuzione consapevole in grado  di  orientare  il
processo. 
    Il diverso regime attuale aggrava invece in misura  irragionevole
l'accesso alla tutela da parte del paziente, anche di  fronte  ad  un
esito della futura  lite  di  merito  che  si  preconizzi  del  tutto
favorevole,  con  l'addebito  di  un   costo   che   potrebbe   esser
insostenibile o irragionevolmente gravoso. Si pensi a mero titolo  di
esempio   alle    controversie    per    responsabilita'    sanitaria
odontoiatrica, in cui il valore medio del risarcimento non  supera  i
10.000  euro,  laddove  pero'  il  costo  della  CTU  copre  l'intero
ammontare della pretesa risarcitoria ed, infine, il paziente ha  gia'
pagato un, almeno equivalente, importo  per  il  corrispettivo  della
prestazione sanitaria, normalmente in regime privatistico. 
    O per converso ai casi di complessi accertamenti diagnostici o di
verifiche biotecnologiche su  impianti  di  ultima  generazione,  che
potrebbero richiedere esborsi per costi di  laboratorio  ingenti.  Od
ancora alle consulenze, non rare, che necessitino di  tre  o  quattro
differenti specializzazioni oltre alle competenze del medico legale. 
    La necessita' del paziente di dover anticipare l'importo di  5-10
o anche 15-20 mila euro nelle diverse ipotesi sopra  prospettate,  e'
poi  anche  destinata   ad   incidere   sull'equita'   del   processo
conciliativo  cui  l'istituto  giuridico  in  esame  e'  finalizzato,
ponendo paziente non abbiente in una posizione di debolezza economica
nella trattativa pur all'interno di un procedimento giurisdizionale. 
    Un esito, questo, anche  incoerente  con  la  nuova  funzione  di
condizione  di   procedibilita'   principalmente   finalizzata   alla
definizione integrale, ancorche' conciliativa, del giudizio. 
    Infine puo' darsi rilievo al  fatto  che  la  spesa  relativa  al
compenso del collegio peritale, in ragione del fatto che la  CTU  nel
procedimento di cui all'art. 696-bis del codice di  procedura  civile
e' divenuta necessaria come conseguenza della sua  previsione  legale
non e' un costo  che  consegue  ad  una  scelta  processuale  che  il
paziente potrebbe non fare. 
    Lo snodo processuale che si sottopone al vaglio della Corte  puo'
certamente apparire di ridotta rilevanza rispetto  ad  altre  vicende
ordinamentali di piu' ampia portata:  ma  si  tratta  di  un  vincolo
legale pur sempre in grado di  incidere  in  misura  sostanziale  sul
grado di tutela del diritto alla salute. Si consenta per tale ragione
di ricordare questa Corte ha osservato che «al  riconoscimento  della
titolarita' di diritti non puo' non accompagnarsi  il  riconoscimento
del potere di farli valere innanzi ad un giudice in  un  procedimento
di natura giurisdizionale»: pertanto, «l'azione in  giudizio  per  la
difesa dei propri diritti [...] e' essa stessa  il  contenuto  di  un
diritto, protetto dagli articoli 24 e 113  della  Costituzione  e  da
annoverarsi  tra  quelli  inviolabili  e  caratterizzanti  lo   stato
democratico di diritto» (sentenza n. 26 del 1999, nonche' n. 120  del
2014, n. 386 del 2004 e n. 29 del 2003). Il diritto al giudice  ed  a
una tutela  giurisdizionale  effettiva  dei  diritti  inviolabili  e'
sicuramente tra i grandi  principi  di  civilta'  giuridica  in  ogni
sistema democratico del nostro tempo», (cosi'  Corte  costituzionale,
sentenza n. 238 del 22 ottobre 2014, par. 3.4). 
    Per tali ragioni la necessita' di decidere,  secondo  il  diritto
vivente, di porre il costo della CTU, comprensivo di spese  oneri  ed
accessori e superiore ai 7 mila euro, a carico - in tutto od in parte
- della parte richiedente le cui  ragioni  sul  piano  medico  legale
appaiono confermate dall'esito della relazione del collegio peritale,
giustifica la rilevanza ed il  sospetto  non  manifesta  infondatezza
della proposta questione di legittimita' costituzionale.